Ispirato alla SCUOLA DI SAGGEZZA fondata da HERMANN KEYSERLING a Darmstadt nel 1920, il Blog propone le iniziative culturali organizzate dalla omonima Associazione Culturale Il blog é agganciato all'omonimo canale Youtube contenente i video Hangout dei webinar gratuiti periodici organizzati da Sabato Scala e dalla sua compagna Fiammetta Bianchi con lo scopo di costruire, partendo dall'ideale della Saggezza, le fondamenta per un radicale rinnovamento dell'umanità .

giovedì 25 aprile 2019

I Terapeuti. De Vita Contemplativa - Filone di Alessandria

[1] Il trattato appena concluso riguardava gli Esseni, ovvero una setta che si proponeva con zelo di vivere una vita attiva eccellente in ogni suo aspetto (o, se è il caso d'usare un'espressione meno perentoria, in quasi ogni suo aspetto). Ora, seguendo l'ordine richiesto dal mio lavoro, dirò quanto è necessario su coloro che hanno abbracciato la vita contemplativa, senza aggiungere nulla di mio per abbellire, cosa che di solito fanno tutti i poeti e gli storici quando v'è scarsità di begli aneddoti: io invece, senza fingere, mi atterrò alla pura verità, ben consapevole che di fronte ad essa anche il più esperto oratore cesserebbe di parlare. Occorre tuttavia continuare a lottare e a combattere: la grandezza della virtù di questi uomini, infatti, non deve ridurre al silenzio chi reputa giusto che nessuna azione bella sia taciuta.
[2] La scelta di tali filosofi appare subito chiara dal loro nome: essi si chiamano θεραπευταί e θεραπευτρίδες e questa loro denominazione, che deriva dal verbo θεραπεύω, è ben adeguata per due ragioni: esercitano infatti una terapia medica più nobile di quella praticata in città, poiché quest'ultima cura soltanto i corpi mentre quella anche le anime, afflitte da mali gravi e difficilmente curabili, mali che furono originati da piaceri e desideri e sofferenze, paure, ambizioni, follie, ingiustizie e da una quantità inesauribile di altre passioni e vizi; inoltre, essi furono educati a servire l'Essere secondo la natura e le sacre leggi; e l'Essere è più grande del Bene e più puro dell'Uno, ed ha un'origine più antica della Monade.
[3] Chi, fra quanti professano pietà religiosa, è degno d'esser paragonato ad essi? Forse coloro che onorano gli elementi, terra, acqua, aria, fuoco? Elementi a cui alcuni diedero un nome, altri un altro: il fuoco fu denominato Efesto dal termine "accensione", credo; l'aria Era, perché è sollevata ed elevata in alto; l'acqua Posidone, certamente perché suggerisce l'idea del bere, la terra Demetra, perché sembra sia la madre di tutti, vegetali ed animali.
[4] Ma questi nomi sono invenzioni dei sofisti, mentre gli elementi sono materia priva di vita e da se stessa incapace di movimento, sottomessa all'Artefice per quanto riguarda tutte le specie di forme e qualità.
[5] Si vorrà forse paragonare ai Terapeuti coloro che adorano i corpi celesti, formati dagli elementi, il sole, la luna o tutti gli astri fissi o vaganti o il cielo intero e l'universo? Anche questi tuttavia non hanno avuto origine da se stessi, ma da un demiurgo perfettissimo nella sua sapienza.
[6] O, ancora, coloro che adorano i semidei? Ma questo concetto è perfino degno di derisione; infatti, come potrebbe lo stesso individuo essere immortale e mortale? Si aggiunga che anche la causa della loro nascita è riprovevole, piena di un'intemperanza giovanile che i loro adoratori osano empiamente ascrivere alle potenze divine e beate: proprio gli esseri, infatti, che non sono toccati da alcuna passione e godono di perfetta beatitudine si sarebbero uniti alle donne mortali, presi per esse da folle amore.
[7] Sono forse paragonabili ai Terapeuti coloro che adorano statue ed immagini, la cui essenza è pietra e legno? Entità fino a poco tempo prima del tutto prive di forma, che gli spaccapietre e i taglialegna sbozzarono dalla struttura a loro congenita; pietra e legno di cui sono stretti parenti i catini ed i lavacri per i piedi e tutti gli altri utensili più squallidi che servono a scopi degni di tenebra più che di luce.
[8] Quanto agli dei degli Egizi, è bene non farne neppur menzione: questo popolo ha portato agli onori divini animali privi di ragione e non solo tra quelli domestici, ma anche tra i peggiori di quelli selvatici, scelti da ogni specie esistente nel mondo sublunare: tra quelli terrestri, il leone, tra gli acquatici il coccodrillo indigeno, tra i volatili il nibbio e l'ibis egizio.
[9] Ed essi, pur vedendo che queste creature sono generate, bisognose di cibo ed insaziabili nel nutrimento, piene di lordura e velenose, mangiatrici di uomini, preda di ogni tipo di malattia e destinate a perire non solo di morte naturale ma spesso anche violenta, ebbene, si inchinano davanti ad esse, loro, civili, davanti ad esseri incivili e selvaggi; loro, dotati di ragione, davanti ad esseri che ne sono privi; loro, parenti degli dei, si inchinano davanti a chi non può esser paragonato neppure a tipi come Tersite; loro, padroni e dominatori, davanti a chi è per natura loro soggetto e schiavo.
[10] Costoro dunque, stravolgendo il senno non solo della loro gente ma anche dei loro vicini, vivono privi di cura (ἀθεράπευτοι), perché privi del più necessario dei sensi, la vista; intendo dire non quella fisica, ma quella spirituale, che sola distingue il vero dal falso.
[11] I Terapeuti invece, che sin dal principio hanno imparato a vedere, tendano con tutte le loro forze alla visione dell'Essere ed oltrepassino il sole sensibile e non abbandonino mai questo loro posto, che conduce alla perfetta felicità.
[12] Coloro che intraprendono tale servizio spirituale, non seguono un'usanza, né un'esortazione o un suggerimento, ma, rapiti da amore celeste, come baccanti o coribanti, sono posseduti dallo spirito divino, finché non vedono ciò che desiderano.
[13] Poi, per il desiderio d'una vita immortale e beata, ritenendo ormai terminata la loro vita mortale, anticipano, per loro particolare desiderio, la divisione dell'eredità e lasciano le loro sostanze ai figli o alle figlie e ad altri parenti e se non hanno parenti, a compagni ed amici; bisogna infatti che coloro che prontamente e con aperta disponibilità hanno ricevuto la ricchezza che vede, consegnino la ricchezza cieca a chi ancora ha la mente cieca.
[14] I Greci elogiano Anassagora e Democrito, poiché, presi dalla passione per la filosofia, abbandonarono i loro possessi terrieri al bestiame che li divorasse. Anche io ho stima per gli uomini che sono superiori alle loro ricchezze; però, quanto migliori sono quelli che non permettono al bestiame di divorare i loro possedimenti, ma soddisfano le necessità umane dei loro parenti ed amici e li rendono, da indigenti, ricchi? Quest'ultimo è il comportamento che mi sembra sobrio e scelto con estrema esattezza: il primo, invece, lo giudico sconsiderato, per non dire folle, da parte di uomini che i Greci hanno ammirato.
[15] Agiscono forse diversamente i nemici quando saccheggiano la terra degli avversari e ne tagliano gli alberi, perché quelli, costretti dalla mancanza di mezzi necessari, s'arrendano? Così ha fatto Democrito ai suoi parenti, causando loro miseria e povertà con le sue stesse mani, sia pure non premeditatamente, ma per non aver previsto e considerato ciò che era necessario agli altri.
[16] Quanto più grandi e più ammirabili sono costoro che, pur con un ardore non minore per gli studi filosofici, preferiscono tuttavia la generosità all'indifferenza? Essi diedero via i loro possedimenti ma non li fecero distruggere, così da agevolare gli altri con una abbondante ricchezza materiale e se stessi con lo studio della filosofia. La preoccupazione per la ricchezza ed i beni materiali consuma infatti chi ne fa uso: invece è bene risparmiare tempo, dal momento che, come dice il medico Ippocrate, "la vita è breve ma l'arte è lunga".
[17] Mi sembra che a questo concetto alluda anche Omero nell'Iliade, al principio del XIII canto, con questi versi: "I Misi bravi nel corpo a corpo ed i nobili Ippomolghi, che si nutrono di latte senza cibi raffinati, i più giusti tra gli uomini". Con questo voleva significare che l'ansia per il sostentamento e il desiderio di guadagno generano ingiustizia a causa dello squilibrio che creano, mentre la scelta opposta genera giustizia grazie all'equilibrio, secondo il quale la ricchezza della natura ha un limite e dà maggior serenità rispetto a quella che risiede nelle vane opinioni.
[18] Una volta dunque che si sono spogliati dei loro beni, non più schiavi di nessuno, fuggono senza voltarsi indietro, dopo aver abbandonato i fratelli, i figli, le mogli, i genitori, la vasta parentela, la cerchia degli amici, la terra patria in cui furono generati e nutriti, poiché l'intima familiarità tiene legati e rende completamente schiavi.
[19] Non vanno però ad abitare in un'altra città, come coloro che, sfortunati o malvagi, chiedono di essere messi in vendita da chi li ha acquistati, procurandosi soltanto un cambiamento di padrone, non la libertà: ogni città infatti, anche la meglio governata, è piena di rumore e di innumerevoli disturbi che non può sopportare chi sia stato attratto dalla sapienza.
[20] Al contrario, essi vivono fuori delle mura e in giardini o luoghi deserti ricercano la solitudine, non a causa di un'arida misantropia, ma poiché ben sanno che mischiarsi a chi è diverso per carattere è svantaggioso e dannoso.
[21] Questo genere di persone esiste in gran parte della terra abitata, poiché è inevitabile che abbiano parte al perfetto bene sia la Grecia che i barbari; è tuttavia più numeroso in Egitto, in ciascuno dei cosiddetti "νόμοι" ed in particolare nei dintorni di Alessandria.
[22] Da ogni luogo, però, i migliori si recano in una località, che è per essi come una patria, posta in una zona molto ospitale: sopra la palude Marea, su una collina piuttosto bassa, in un'ottima posizione, sia per la sicurezza che per l'aria dolce e temperata.
[23] Le fattorie ed i villaggi circostanti garantiscono sicurezza, mentre la dolcezza dell'aria è data dalle brezze che spirano dalla palude antistante verso il mare e dal vicino mare alla palude, continuamente; lievi e secche quelle provenienti dal mare, più umide quelle dalla palude; la loro mistione produce una condizione climatica molto salubre.
[24] Quanto alle abitazioni di quelli che vivono in comunità sono molto semplici e forniscono riparo dai due pericoli maggiori, cioè il caldo del sole ed il freddo dell'aria. Non sono tutte vicine, come quelle in città: la vicinanza è infatti cosa fastidiosa ed insopportabile per chi cerca la solitudine; ma non sono neppure distanti, per quel senso di comunità 4 che è loro caro e perché, nel caso d'una scorreria di briganti, possano portarsi aiuto reciproco.
[25] In ciascuna casa v'è una stanza sacra, chiamata santuario e monastero, in cui, stando come eremiti, vengono iniziati ai misteri della vita consacrata, senza introdurvi nulla - né bevanda né cibo né altro che sia necessario ai bisogni del corpo -, se non leggi e oracoli vaticinati dai profeti, inni e tutto ciò che contribuisce ad accrescere e portare a perfetto compimento saggezza e devozione.
[26] Mai la loro memoria dimentica Dio, cosicché anche nei sogni non si rappresentano null'altro che le bellezze delle potenze e virtù divine; molti inoltre, durante le visioni notturne, proferiscono i grandiosi principi della sacra filosofia.
[27] Sono soliti pregare due volte al giorno, all'alba ed al tramonto, chiedendo, al sorgere del sole, una buona giornata, giornata buona nel senso proprio dell'espressione, cioè che la loro intelligenza sia piena di luce divina; al tramonto, invece, chiedono che la loro anima, completamente sollevata dalla molteplicità di sensazioni e di sensibili, raccoltasi nel suo sinedrio e nel suo luogo di meditazione segua le tracce della verità.
[28] Tutto il tempo compreso dal mattino alla sera e impiegato nell'ascesi, che consiste nella lettura delle scritture sacre e nella interpretazione allegorica della filosofia dei loro padri; ritengono infatti che le parole del testo siano simboli di una realtà nascosta, che si rivela nei significati reconditi. 
[29] Essi possiedono anche scritti di uomini antichi, i capostipiti della loro dottrina, che lasciarono molte testimonianze del metodo usato nelle interpretazioni allegoriche: essi, usando questi scritti come dei modelli, ne imitano il metodo; quindi non sono solo contemplativi, ma compongono anche canti ed inni a Dio, con ogni tipo di metro e melodia, che poi trascrivono con ritmi i più solenni possibile.
[30] Dunque per sei giorni essi, stando ognuno in disparte, da solo, nei suddetti monasteri, esercitano la filosofia, senza varcare la soglia della stanza e senza neppur guardare da lontano; il settimo giorno poi, si riuniscono in una assemblea comune e siedono uno accanto all'altro, secondo l'età, in un atteggiamento appropriato, cioè con le mani sotto gli abiti, la destra tra il petto e il mento, la sinistra nascosta lungo il fianco.
[31] Il più anziano ed esperto nelle dottrine si fa allora avanti e pronuncia un discorso, con lo sguardo tranquillo, con la voce pacata, con oculatezza e saggezza: egli non fa vanto d'abilità oratoria come i retori ed i sofisti di oggi, ma ricerca l'esattezza nell'esposizione dei suoi pensieri, esattezza che non si limita a scalfire l'udito, ma, attraverso di esso, raggiunge l'anima e vi rimane salda. Tutti gli altri ascoltano in tranquillità e mostrano il loro assenso con sguardi e cenni del capo solamente.
[32] Questo comune luogo sacro, in cui ogni sette giorni si riuniscono, è una doppia stanza, divisa in una parte per gli uomini ed una per le donne: anche le donne infatti stanno abitualmente ad ascoltare, con lo stesso zelo e la stessa coscienza della loro scelta. 
[33] Il muro tra le due stanze si innalza per tre o quattro cubiti dal basso, come un parapetto, mentre lo spazio fino al soffitto è completamente aperto. Si persegue così il duplice scopo di mantenere il pudore che s'addice alla natura femminile e di permettere alle donne di ascoltare bene, sedute in un luogo dall'acustica perfetta, in cui nessun ostacolo si frapponga alla voce di chi sta parlando. 
[34] Mettendo come fondamenta della loro anima il dominio di sé, vi costruiscono sopra le altre virtù. Nessuno di essi dunque potrebbe consumare cibo o bevanda prima del tramonto del sole; poiché ritengono che filosofare appartenga al dominio della luce, le necessità del corpo, invece, a quello delle tenebre, all'uno hanno riservato il giorno, alle altre una piccola parte della notte.
[35] Alcuni poi si ricordano di mangiare soltanto ogni tre giorni consecutivi, poiché con più forza è radicato in essi il desiderio di sapere; altri sono così deliziati e felici nel convito della sapienza, che li nutre e fornisce loro con abbondanza e generosità i suoi principi, da resistere anche per un tempo doppio e da toccare appena, dopo sei giorni, i cibi necessari. Essi si sono abituati a nutrirsi di aria, come si dice delle cicale, il cui canto supplisce, credo, il loro bisogno di nutrimento.
[36] Riservano un onore particolare al settimo giorno, che ritengono santissimo e degno di grande celebrazione: allora, dopo aver curato lo spirito, ungono d'olio il corpo, così come si permette anche agli animali di non lavorare, e si rilassano dalle continue fatiche.
[37] Non mangiano però nessun tipo di cibo ricco, ma semplice pane, il cui companatico è il sale, che quelli di palato raffinato correggono con issopo, mentre la loro bevanda consiste in acqua fresca; così calmano la fame e la sete, che la natura pose come dominatrici dell'umanità, in nulla adulandole ma limitandole ai cibi necessari, senza i quali non è possibile vivere. Perciò mangiano e bevono quel tanto che serve a non patire la fame e la sete, evitando la sazietà come un nemico dell'anima e del corpo.
[38] E poiché duplice è il modo di ripararsi, la veste e la casa, di quest'ultima s'è detto prima che è priva d'ornamenti e improvvisata, costruita solo per utilità; anche la veste è ugualmente semplicissima, per proteggere dal freddo e dal caldo: un mantello pesante al posto di pelle villosa in inverno, in estate invece una veste sottile di lino. 
[39] Essi praticano insomma un regime di vita molto semplice, ben sapendo che la vanità è il principio della menzogna, la semplicità invece della verità, analogamente a due fonti: dalla menzogna infatti sgorgano le molteplici forme del male, mentre dalla verità l'abbondanza dei beni umani e divini.
[40] Voglio anche trattare delle loro assemblee e della viva allegria dei loro banchetti, in contrapposizione ai banchetti degli altri. Questi ultimi, infatti, una volta che si sono riempiti di vino puro, come se non vino avessero bevuto, ma una sorta di filtro che fa uscir di ragione provocando alterazioni, deliri e ogni più deleterio effetto, ringhiano e urlano come cani selvatici e si staccano naso, orecchie, dita, e altre parti del corpo, così che rendono verosimile l'episodio del Ciclope e dei compagni di Odisseo, poiché mangiano "bocconi" di uomini, come dice il poeta, ed anzi con maggiore crudeltà del Ciclope stesso.
[41] Egli, infatti, sospettando dei nemici, si difendeva, mentre essi, sospettando di conoscenti ed amici, talvolta anche dei parenti, sulle proprie mense, sul proprio sale, compiono durante le libagioni azioni indegne di libagione, uguali a quelle che avvengono durante gli agoni ginnici; essi contraffanno, come una moneta, un esercizio di gloria, essi, attaccabrighe arrabbiati anziché atleti; così infatti bisogna chiamarli.
[42] Quelle prodezze che gli atleti [vincitori ai giochi Olimpici], compiono, sobri, di giorno, con abilità negli stadi, davanti ad un pubblico proveniente da tutta la Grecia, per vincere ed ottenere la corona, sono adulterate da costoro, che si sfogano sulle loro vittime nei banchetti, di notte, nelle tenebre, ubriachi fradici, incompetenti e dotati solo di una mala arte che poggia sul disprezzo e la violenza e l'oltraggio grave.
43] Se mai qualcuno, intervenendo quale arbitro, cerca di dividerli, con più forza lo abbattono, assassini e ad un sonno profondo, senza vedere né sentire nulla, come se avessero un solo senso, quello che più di tutti i sensi rende schiavi.
[46] Io so di alcuni che, già alticci ma non ancora completamente ubriachi, si procurano da bere per il giorno seguente, con doni e pegni, ritenendo che una parte della felicità di cui godono sia la speranza per la futura ebbrezza.
[47] Così vivono, senza un focolare e senza una casa, nemici dei loro genitori, delle loro mogli e dei loro figli, nemici anche della patria, in guerra con se stessi; infatti una vita ebbra e dissoluta è insidiosa per tutti.
[48] Forse qualcuno potrebbe approvare l'abitudine, oggi diffusa, di banchettare, secondo lo sfarzo e il molle lusso italico, che sia i Greci sia i barbari si sforzano d'imitare, allestendo banchetti più per ostentazione che per far festa.
[49] Divanetti a tre o più posti, di tartaruga o avorio e di materiale piuttosto pregiato, per lo più pietre preziose; tappeti di porpora con intessuto insieme oro ed altri broccati ornati a fiori, di tutti i colori, per allietare la vista; una grande quantità di coppe poste in ordine secondo la loro diversa forma, boccali, bicchieri ed altro vasellame d'ogni tipo, molto elaborato ed adornato con incisioni di artigiani eccellenti.
[50] Sono loro servitori degli schiavi di corpo ed aspetto bellissimi, come fossero giunti non per servire quanto per rallegrare la vista degli spettatori con la loro presenza; di questi alcuni, ancora fanciulli, versano il vino, mentre dei giovani, alti e robusti, portano l'acqua, lavati e sbarbati, con il volto lisciato e dipinto con cosmetici; i loro capelli sono pettinati in trecce ben ritorte, legate insieme; [51] portano infatti capelli lunghissimi che o non hanno mai tagliato, o ne hanno tagliato solo le punte per pareggiarli e formare una precisa linea curva. Indossano vesti sottili come ragnatela e bianchissime,con la parte davanti più bassa del ginocchio, quella dietro di poco sotto l'anca; sostengono entrambe le parti con un nastro doppio ricciuto, di lana, lungo la linea di unione della tunica e le lasciano cadere sui fianchi con pieghe che si aprono di lato.
[52] In disparte stanno altri, giovani cui la barba infiora appena le guance, da poco trastullo dei pederasti, agghindati in modo troppo elaborato per servizi piuttosto pesanti, sfoggio dell'opulenza degli ospiti (così presumono coloro che se ne servono), ma, in realtà, del loro cattivo gusto.
[53] Oltre a ciò, v'è una varietà di cibi e contorni e manicaretti, per i quali s'affaticano cuochi e pasticceri, preoccupandosi non solo, cosa necessa- 6 ria, che piaccia il loro gusto, ma anche il loro raffinatissimo aspetto.
[54] Vengono servite sette o più portate, ricche di tutte le specie di creature che terra, mare, fiume ed aria generano, tutte scelte e di prima qualità: animali terrestri, marini e volatili, ciascuna delle quali si distingue per la preparazione ed il condimento, perché nessuna specie di quelle che sono in natura venga tralasciata. Infine sono serviti rami carichi di frutta, oltre a quella che serve per le bevande ed i cosiddetti dopopasto.
[55] Alcune portate vengono completamente esaurite per l'insaziabilità dei presenti, che, golosi come cormorani, divorano tutto al punto da mangiare anche le ossa per finire il pasto, mentre altre, dopo averle maltrattate e piluccate, le lasciano consumate solo in parte. Quando infine sono stanchi, dopo aver riempito il ventre sino alla gola ma ancora vuoti per i loro desideri, impossibilitati a mangiare, girano il collo intorno, gradiscono con gli occhi e con le narici: con gli uni la ricchezza e la quantità, con le altre il profumo che ne esala. Poi, quando sono sazi di entrambe le cose, di vedere e di odorare, invitano a mangiare, dopo aver lodato non poco l'ospite per l'apparato e la munificenza.
[56] Ma a che giova dilungarsi su tali argomenti, che sono ormai oggetto d'accusa da parte dei più moderati, poiché scatenano i desideri, che sarebbe giusto limitare? Si dovrebbe infatti invocare ciò che è più detestabile, la fame e la sete, piuttosto che la sovrabbondanza di cibi e di bevande d'uso in tali festini.
[57] Tra i banchetti greci, i più famosi e degni di nota sono i due che ora vengo a nominare, a cui partecipò anche Socrate: l'uno in casa di Callia, quando Autolico, ricevuta la corona, festeggiò con un banchetto la vittoria, l'altro in casa di Agatone; questi banchetti furono giudicati degni d'essere ricordati da uomini che erano filosofi sia nei costumi che nei discorsi, Senofonte e Platone. Li descrissero, infatti, come degni di ricordo, poiché prevedevano che i posteri si sarebbero rifatti ad essi, quali modelli di buon modo di condurre un banchetto.
[58] Tuttavia anche questi appariranno ridicoli di fronte a quelli dei nostri, cioè di coloro che hanno scelto un tipo di vita contemplativo. Entrambe le narrazioni, dunque, hanno il piacere come elemento fondamentale, seppure quella di Senofonte sia più umana: vi compaiono infatti flautisti, prestigiatori e buffoni, per scherzare e rallegrare; oltre ad altri divertimenti che mirano ad un'ilare rilassatezza degli animi.
[59] Il Simposio di Platone, invece, è quasi tutto sull'amore, non solo quello di uomini innamoratisi di donne o di donne innamoratisi di uomini - infatti queste passioni si adeguano alle leggi di natura -, ma di uomini per uomini, diversi solo per l'età; se infatti vi si fa talora un discorso pretenzioso su Eros e Afrodite celeste, lo si introduce per autoironia.
[60] La maggior parte del Simposio platonico tratta dell'amore comune e volgare, che sottrae il vigore, il bene più utile alla vita sia in pace che in guerra, e causa nelle anime una malattia che le rende effeminate, riducendo ad androgini tutti coloro che avrebbero dovuto essere esercitati in ogni disciplina dispensatrice di forza.
[61] Questo tipo d'amore, dopo aver rovinato i giovanetti ed averli ridotti al rango e al ruolo di amasii, danneggia anche gli amanti in ciò che è più importante, cioè nel corpo, nell'anima e nel patrimonio; è infatti inevitabile che il pensiero del pederasta sia rivolto al suo fanciullo e che solo ad esso guardi, cieco per tutte le altre faccende, private e pubbliche. Il suo corpo si consuma per il desiderio amoroso, in modo particolare se non è fortunato, mentre il suo patrimonio si assottiglia per due motivi, l'incuria e le spese per l'amato.
[62] Inoltre, sorge un problema ancor più grande e diffuso: questi individui infatti sono causa della desolazione delle città e della scomparsa di uomini di valore e della sterilità e scarsità delle nascite, simili a chi, ignaro d'agricoltura, semini su terreni coperti di brina o petrosi o rocciosi anziché su piane ricche di terra molle. Questi terreni, oltre a non lasciar germogliare nulla, distruggono anche i semi che vi sono stati gettati.
[63] Tralascio di menzionare i racconti mitici di uomini dal doppio corpo che, dapprima uniti gli uni agli altri con saldo legame, in seguito si sarebbero scissi, dissoltasi l'armonia che li univa, come se si fosse trattato di parti composte assieme. Tutti questi argomenti sono seducenti e possono attirare l'attenzione per la novità del pensiero; ma i discepoli di Mosè, che sin dalla loro prima età hanno imparato ad amare la verità, li disprezzano profondamente, incapaci di credere ad un inganno
[64] Poiché, dunque, questi celebrati banchetti sono pieni di tanta stoltezza che si denunciano da soli (per chi non intende badare alle opinioni ed alla fama divulgata della loro rettitudine), io a essi contrapporrò i banchetti di quanti hanno dedicato la loro vita e se stessi alla scienza ed alla contemplazione delle cose di natura, secondo i santissimi precetti del profeta Mosè.
[65] Costoro in primo luogo si riuniscono ogni sette settimane, poiché venerano non solo il semplice numero sette ma anche il quadrato di esso: sanno infatti che è casto e sempre vergine. È la vigilia d'una festa importantissima, che il numero cinquanta ottiene per sé, il numero più santo e più consono alla natura, composto della potenza del triangolo rettangolo, il principio della creazione dell'universo intero.
[66] Quando dunque si riuniscono, luminosi nelle bianche vesti che indossano, solenni e seri, al segnale di uno degli efemereuti - così è uso chiamare chi è addetto a tale servizio - stanno in piedi, in fila ordinata, davanti ai lettini del banchetto, con gli occhi e le mani rivolti al cielo: gli occhi sono stati infatti educati a guardare ciò che è degno, e le mani sono pure da peccati e non insozzate da alcun pretesto di lucro; in tale atteggiamento pregano Dio che il banchetto gli sia gradito e si svolga secondo il suo volere. 
[67] Dopo aver pregato, prendono posto i più anziani, secondo la data del loro ingresso nella comunità; non reputano anziano chi ha molti anni ed è canuto, anzi possono ritenerlo quasi un bambino, se tardi si è infiammato per questa vita; invece ritengono anziani coloro che sin dalla prima età si sono incamminati e sono maturati nella filosofia contemplativa, la più bella e la più divina. 
[68] Partecipano al banchetto anche delle donne, di cui la maggior parte sono vergini già anziane, che hanno custodito la loro castità non per obbligo, come alcune sacerdotesse greche, ma per loro spontanea volontà, per ardente desiderio di sapienza, e facendo ogni sforzo per vivere insieme ad essa, hanno disprezzato i piaceri del corpo, desiderando non figli mortali, ma immortali, che sola è in grado di generare da se stessa l'anima innamorata di Dio, poiché il Padre ha seminato in lei raggi intellettuali, con cui possa contemplare i principi della sapienza.
 [69] Lo spazio per il banchetto è diviso in due parti: a destra gli uomini e a sinistra le donne. Forse si può pensare che ad uomini di buona famiglia, colti e dediti alla filosofia, convengano giacigli, se non lussuosi, almeno piuttosto morbidi; in realtà si tratta di giacigli di fogliame, su cui sono appoggiati semplici teli di papiro (che è originario di questa zona), un po' sollevati all'altezza del gomito per appoggiarvisi. Cercano così di rendere meno dura l'austerità spartana e sempre e dovunque esercitano la capacità d'adattamento propria di uomini liberi, mentre si tengono lontano con tutte le loro forze dalle attrattive del piacere.
[70] Non sono serviti da schiavi, poiché reputano che il possederne sia completamente contro natura. Essa ha infatti generato liberi tutti gli uomini, ma l'ingiustizia e l'ambizione di alcuni, che ricercano l'ineguaglianza, principio di tutti i mali, hanno imposto il loro dominio ed accordano ai più potenti il potere sui più deboli.
[71] In questo sacro banchetto, dunque, non v'è nessun schiavo, come ho detto: uomini liberi adempiono i servizi ed eseguono le mansioni proprie dei servi senza costrizione e senza attendere degli ordini, ma prevenendo le richieste spontaneamente e con premuroso zelo.
[72] A questi uffici vengono preposti uomini liberi scelti oculatamente fra i giovani presenti nella comunità, per i loro requisiti di nobiltà e gentilezza, in base al criterio di uno sforzo progressivo verso la somma virtù. Essi, come figli legittimi, con devozione e felici, servono loro come ad un padre e ad una madre, ritenendoli loro comuni genitori più affini dei genitori di sangue, poiché non vi è nessun legame più stretto della virtù per chi ha sapiente intelletto: per compiere il loro ufficio entrano senza cintura e con le vesti che scendono molli fino a terra, così da non portar con sé neppure un'ombra di aspetto servile.
[73] In quei giorni non viene servito vino in questo banchetto - so che alcuni rideranno all'udire, ma saranno coloro che fanno cose deplorevoli, degne di essere compiante; viene versata, invece, acqua purissima, fredda per la maggior parte, calda per i vecchi abituati ad un regime di vita più delicato. La mensa è priva di cibi contenenti sangue: su di essa v'è pane come cibo, sale come condimento, a cui talvolta è aggiunto l'issopo come aroma per i palati più fini. 
[74] Come ai sacerdoti la retta ragione suggerisce di compiere sacrifici senza vino, così ad essi suggerisce di vivere senza berne; il vino è infatti veleno di follia e una ricca mensa suscita il più insaziabile degli animali, il desiderio.
[75] Così è il principio. Dopo che i convitati si sono sistemati in quell'ordine che ho indicato ed i servitori hanno preso posto in fila pronti al servizio, [il presidente della comunità, quando vi è totale silenzio da parte di tutti] - ma quando non c'è, potrebbe dire qualcuno? In quel momento tuttavia più che mai, poiché nessun osa bisbigliare o respirare un po' più forte - il presidente dunque, commenta qualche passo delle Scritture o scioglie delle questioni poste da altri. Non c'è traccia in lui di esibizione oratoria, poiché non aspira alla fama per la potenza della sua elocuzione - ma desidera avere una visione più profonda su qualche argomento, ed avutala, non tenerla nascosta a chi, meno dotato di lui, ha tuttavia il suo stesso desiderio d'apprendere.
[76] La sua spiegazione è piuttosto lenta: egli indugia e si sofferma a ripetere, per imprimere i concetti negli animi; la mente di chi ascolta non può infatti star dietro all'interpretazione di chi parla con rapidità e ininterrottamente, senza perdere il filo e tralasciare di comprendere ciò che vien detto.
[77] Gli ascoltatori, [con le orecchie attente e gli occhi fissi su di lui], mantenendo tutti un'unica e identica posizione, stanno ad ascoltare, con cenni e sguardi manifestando di seguirlo e di comprenderlo: il consenso per chi parla si traduce in un'espressione di esultanza, come un graduale evolversi dello sguardo, mentre la perplessità dà luogo a un leggero movimento del capo cui si accompagna l'indice puntato della mano destra. I giovani, in piedi, ascoltano con attenzione, non meno di quelli che sono seduti.
[78] L'interpretazione dei libri sacri avviene attraverso il metodo allegorico: tutti i libri della Legge infatti sembrano a questi uomini somigliare a un essere vivente, il cui corpo sono le prescrizioni scritte e la cui anima è una mente invisibile, nascosta sotto le parole. In essa, l'anima razionale comincia a contemplare ciò che le è eminentemente proprio; è come se,attraverso lo specchio dei nomi, osservasse la straordinaria bellezza dei concetti, fatta risalire all'evidenza; è come se svelasse e dispiegasse i simboli, portando alla luce ciò che è necessario perché, in virtù di un breve ricordo l'invisibile possa essere contemplato attraverso il visibile.
 [79] Quando colui che presiede ritiene di aver parlato a sufficienza e che sia stato raggiunto lo scopo che egli s'era prefisso col suo discorso e il pubblico con l'ascolto, tutti allora applaudono e si rallegrano [per ciò che deve ancora venire].
[80] Poi, levatosi in piedi, lo stesso che aveva tenuto il discorso canta in onore di Dio un inno, o uno nuovo composto da lui o uno antico dei poeti d'un tempo, che hanno lasciato molti metri e versi: esametri, trimetri, inni prosodici, inni da cantare durante le libagioni o presso gli altari, composizioni corali previste sia per la stasi sia per la danza, con un ricco repertorio formale per le varie evoluzioni. Dopo di lui cantano anche gli altri a turno nell'ordine conveniente, mentre tutti li ascoltano con molta tranquillità, tranne quando bisogna cantare la fine delle strofe ed i ritornelli, per cui è previsto un canto all'unisono di uomini e donne.
[81] Quando ognuno ha terminato il suo inno, i giovani introducono la mensa descritta poco fa, su cui vi è il cibo santissimo, pane lievitato con condimento di sale cui è mischiato l'issopo, per rispetto della sacra mensa che si trova nel sacro vestibolo del tempio; su di essa, infatti, vi sono pane e sale, senza condimento, non lievitato il pane, non mischiato il sale. 
[82] È bene che le parti di cibo non mischiate e più pure siano distribuite alla casta più importante, quella dei sacerdoti, come premio per il loro servizio, mentre gli altri, pure desiderando gli stessi cibi, se ne tengano lontani, per permettere ai migliori d'avere il privilegio.
[83] Dopo aver mangiato, celebrano la sacra vigilia, che si svolge in questo modo: tutti insieme si alzano in piedi e nel mezzo della stanza si formano dapprima due cori, uno di uomini, l'altro di donne; per ognuno si sceglie, come capocoro e guida, l'elemento più degno d'onore e più dotato musicalmente.
[84]. Poi cantano inni composti in onore di Dio con molti metri e ritmi, ora all'unisono, ora agitando le mani e danzando al suono di armonie antifonali; esaltati da Dio, cantano sia le liriche della processione, sia quelle della stasi, riprendendo le evoluzioni delle danze corali.
[85] Poi, quando ciascuno dei due cori ha celebrato la festa facendo parte per se stesso, inebriatosi, come nelle feste bacchiche, del vino schietto dell'amore di Dio, allora si mischiano e diventano, da due, un coro solo, ad imitazione di quello che un tempo s'era formato presso il Mar Rosso, in onore dei miracoli colà compiuti;
[86] infatti il mare, per ordine divino, fu motivo di salvezza per alcuni, ma causa di morte per altri: divisosi e sollevatosi sotto i colpi contrari e solidificatosi come un muro dall'una e dall'altra parte, il tratto in mezzo, tagliato, si allargò sino a formare come una strada completamente asciutta, attraverso cui il popolo si diresse sino alla sponda opposta, situata più in alto; il mare, richiusosi poi col riflusso, travolse con le sue onde, da entrambe le parti, la terra asciutta ed i nemici che li inseguivano perirono, coperti dalle acque.
[87] Dopo aver visto e subito questo evento, superiore ad ogni parola e pensiero e speranza, pieni di spirito divino, uomini e donne insieme, divenuti un solo coro, cantarono inni di ringraziamento a Dio salvatore; capocoro per gli uomini era il profeta Mosè, per le donne la profetessa Miriam.
[88] Su questo coro soprattutto si modella quello dei Terapeuti, donne e uomini, con note e voci alterne, al tono basso degli uomini mischiandosi quello acuto delle donne sì da produrre un'armonia completa: una "musica" nel vero senso della parola. Bellissimi i concetti, bellissime le parole, venerabili i coreuti; il fine sia dei concetti che delle parole e dei coreuti è la devozione. 
[89] Dunque essi, ubriachi sino al mattino di questa nobile ebbrezza, senza avere la testa pesante o chiudere gli occhi, ma più desti di quando erano giunti al banchetto, con gli occhi ed il corpo volti all'aurora, quando vedono il sole spuntare, levando le mani al cielo, invocano un giorno sereno e la conoscenza della verità e la penetrante vista della ragione; dopo le preghiere ognuno ritorna alla sua cella, per praticare e coltivare la solita filosofia. 
[90] Tanto sia detto riguardo ai Terapeuti, che hanno scelto con gioia di contemplare le cose della natura e ciò che le appartiene, e vivono solo nella loro anima, cittadini del cielo e dell'universo, uniti dalla loro virtù al Padre ed artefice di tutto: la virtù ha loro procurato l'amicizia [di Dio] e vi ha aggiunto il dono più consono, la nobiltà d'animo (καλοκἀγαθία), dono migliore di ogni buona fortuna e tale da condurre alla vetta della felicità.